Arriva il Piano Nazionale dei Porti: cosa cambia per Napoli e l’Italia

Ormai ci siamo. Dopo più di vent’anni dall’ultima legge degna di nota del settore (la 84/1994), è in dirittura d’arrivo il nuovo Piano Strategico Nazionale della Portualità e della Logistica, elaborato dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (MIT) e approvato in Consiglio dei Ministri lo scorso venerdì 3 luglio. Un testo cardine, che mira a ridisegnare il settore della portualità italiana.

Il Piano fa parte del pacchetto di misure promosse dal Decreto Legge 133/2014, conosciuto come “Sblocca Italia”, che mira al rilancio complessivo del sistema delle infrastrutture ferroviarie (come la TAV Napoli-Bari), portuali e logistiche nel Bel Paese. I tempi indicati dalla legge per la stesura del Piano della Portualità erano alquanto ristretti: pochi mesi per ascoltare le proposte elaborate da parte delle Autorità Portuali sparse sul territorio nazionale, e per recepire gli input delle associazioni di categoria (ormeggiatori, doganieri, sindacati vari). Un momento di confronto importante, che ha visto il suo apice negli Stati Generali della Portualità e della Logistica dello scorso 9 febbraio. L’allora ministro Lupi, assieme alla società di consulenza Ernst & Young, vincitrice dell’appalto per il supporto tecnico alla redazione del Piano, hanno lavorato alacremente per immaginare l’Italia marittima del domani. Poi, lo stop dovuto alle note vicende giudiziarie che hanno travolto il ministro in quota NCD.

Da marzo 2015, con Delrio a capo del MIT, il Piano è stato nuovamente ricalibrato, per arrivare alla versione semi-definitiva approvata pochi giorni fa. Tuttavia, nel titanico lavoro eseguito, manca un fondamentale tassello: il ridisegno del sistema di governance portuale, un capitolo stralciato e rinviato alla prossima legge di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche. Ad oggi, le Autorità Portuali (AP) presenti sul territorio nazionale sono ben 24. Ciò comporta un quadro di confusione sia a livello di gestione che di investimenti, con il risultato paradossale che porti ubicati a breve distanza l’uno dall’altro, invece di fare sistema e ottimizzare spese e potenzialità infrastrutturali, si fanno concorrenza a vicenda.

In tal senso, esemplare è il caso di Napoli e Salerno, scali affetti da patologie simili, come la mancanza di vaste aree retroportuali per le operazioni di carico/scarico merci, la carenza di adeguati collegamenti stradali e ferroviari e la necessità di dragare i fondali per ospitare le più moderne “super-navi” portacontainer. Tuttavia, negli anni, i due porti si sono alternativamente scavalcati a vicenda, invece di creare sinergie.

Il problema campano è comune anche ad altre regioni italiane: basti pensare che nella sola Liguria, nell’arco di 140 km, insistono ben tre porti con funzioni simili (Genova, La Spezia e Savona), mentre Ravenna, Venezia e Trieste, ossia i maggiori scali dell’alto Adriatico, sono separati da appena 290 km. L’idea del MIT era dunque quella di intervenire radicalmente, riducendo le AP dalle attuali 24 alle seguenti 8, come previsto dalla prima bozza del Piano, circolata ad inizio primavera. Le nuove Autorità di Sistema Portuale (AdSP) erano state immaginate come entità sovraregionali, con lo scopo di favorire il coordinamento dei seguenti scali:

  1. Genova, La Spezia, Savona e Massa Carrara sarebbero confluiti nella nuova AdSP Nord Tirrenica;
  2. Venezia, Trieste, Ravenna e Ancona nella AdSP Nord Adriatica;
  3. Livorno, Piombino (LI) e Civitavecchia nella AdSP Tirrenica Centrale;
  4. Cagliari e Olbia nella AdSP Sarda;
  5. Napoli e Salerno nella AdSP Campana;
  6. Bari, Brindisi, Taranto e Manfredonia (FG) nella AdSP Pugliese;
  7. Gioia Tauro (RC) e Messina nella AdSP Calabra e dello Stretto;
  8. Palermo, Catania e Augusta (SR) nella AdSP Siciliana.

Tuttavia, la forte resistenza di alcune AP ha spinto il MIT ad un ridisegno meno accentratore del sistema portuale, arrivando così a prevedere 13 nuove AdSP così suddivise:

  1. Genova e Savona unificate nella AdSP Ponente;
  2. Venezia come unico esponente della AdSP Veneta;
  3. Così come Trieste, unico scalo della AdSP Friuli Venezia-Giulia;
  4. Ravenna e Ancona unificati nella AdSP Adriatica Centrale;
  5. La Spezia e Massa Carrara nella AdSP Levante;
  6. La AdSP Toscana sarebbe invece composta da Livorno e Piombino (LI);
  7. Civitavecchia (RM) e Pescara formerebbero un’unica AdSP;
  8. Immutata la AdSP Pugliese con Bari, Brindisi, Taranto, Manfredonia (FG);
  9. Così come la AdSP Campana con Napoli e Salerno;
  10. Gioia Tauro (RC) e Messina sempre accorpate nella AdSP Calabra e dello Stretto;
  11. Palermo farebbe invece autorità a sé nella AdSP Siciliana Occidentale;
  12. Mentre la AdSP Siciliana Orientale sarebbe composta da Catania e Augusta;
  13. Chiude la AdSP Sarda con Cagliari e Olbia.

Come si può notare, lo scenario è in evoluzione. Tuttavia, dovrebbe restare ferma l’ipotesi dell’accorpamento di Napoli e Salerno. Un’importante notizia che consegna al neo-eletto Governatore Vincenzo De Luca, che ha anche la delega ai Trasporti, un nuovo strumento amministrativo per far ripartire la portualità campana, a cominciare dall’annosa questione del Presidente dell’Autorità Portuale, uno dei tanti problemi segnalati sullo scalo partenopeo nel nostro approfondimento dello scorso 4 aprile.

Infatti, il Piano prevede significativi cambiamenti circa il processo di nomina del Presidente dell’AdSP, che sarà deciso dal MIT di concerto con il solo Presidente di Regione. Si ricorderà come da anni il Porto di Napoli sia commissariato, in quanto il rimpallo delle responsabilità politiche ha procurato la paralisi degli organi direttivi, con conseguente fuga degli investitori – come dimostra il recente caso dei licenziamenti nella Conateco (il Consorzio Napoletano Terminal Containers). Si aprono quindi nuovi spiragli per processi decisionali più rapidi ed efficaci, in linea con le necessità del settore.

Un’altra importante novità è che le AdSP nelle regioni più svantaggiate (come quelle del Meridione), avranno maggiori poteri ed autonomia finanziaria, al fine di meglio ottimizzare i cospicui finanziamenti europei a loro disposizione. E’ anche questa una triste vicenda che tocca il Porto di Napoli, sul quale, secondo il sito Opencoesione.gov.it, insistono i seguenti programmi comunitari, purtroppo fermi da anni:

  • Sistema portuale integrato di Napoli: un progetto da 196 milioni di Euro, di cui 115 a valere sul Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR) 2007-2013;
  • Nuovo scalo e collegamenti ferroviari del terminal di Levante con adeguamento dei collegamenti stradali: 17,5 milioni di Euro, di cui 8,7 a valere sul FESR 2007-2013;
  • Riqualificazione urbana area portuale di Napoli Est206,9 milioni di Euro, di cui 155,7 a valere sul FESR 2007-2013.

Una buona notizia anche per il Porto di Salerno che, se nell’ultimo ciclo di programmazione europea 2007-2013 ha meglio speso i fondi a sua disposizione, è ancora interessato da grandi progetti infrastrutturali, come l’ottimizzazione dei collegamenti con l’autostrada tramite il tunnel denominato “Porta Ovest”.

Infine, il tema dei dragaggi. Se tutti i porti sono soggetti ad un fisiologico insabbiamento dei fondali, il Porto di Napoli è particolarmente esposto a questa problematica. Fino ad ora, la normativa sui dragaggi è stata molto restrittiva ed a tratti confusionaria, per la compresenza di più attori competenti e per la scarsa comunicazione fra gli uffici del Ministero dell’Ambiente e di quelli del MIT. Inoltre, l’intero sedime portuale napoletano è classificato come SIN, il che rende estremamente costose e complesse le operazioni di dragaggio. Tuttavia, considerato che le più moderne navi container necessitano di un pescaggio di circa 18 metri, e che invece il porto di Napoli presenta una profondità massima di 14 metri (con la media dei fondali che si aggira sui 8/9 metri), appare chiaro come sia necessario procedere con celerità a tali operazioni. Il nuovo Piano della Portualità dovrebbe almeno in parte risolvere questo tema, declassando il materiale dragato da “rifiuto” a “materiali di escavo”, per rendere in questo modo più rapidi ed economici i dragaggi.

Il sistema dei porti, dunque, si reinventa: procedure più snelle e una governance più centralizzata, con il MIT a fare la parte del leone nel dettare gli obiettivi per migliorare la competitività del Sistema Paese. Tira un’aria nuova al Ministero delle Infrastrutture, grazie all’attivismo di Delrio e alla sua maggiore attenzione per lo scalo partenopeo (come raccontato dall’On. Anna Maria Carloni alla nostra testata lo scorso 7 maggio). Parimenti, le scorse elezioni hanno consegnato la Regione Campania nelle mani di un sapiente amministratore, che, da ex Viceministro ai Trasporti, ben conosce la delicata tematica della portualità. Se a questo si sommano i cospicui fondi UE ancora sul piatto, il quadro inizia a delinearsi. Sarà meglio che, a stelle positivamente allineate, corrispondano rapide quanto incisive azioni. Con la concorrenza degli scali nord africani e mediorientali, questo può essere davvero l’ultimo treno per il porto di Napoli… pardon, l’ultima nave.

Per maggiori informazioni:

 

(Articolo pubblicato per conto della testata giornalistica QdN – Qualcosa di Napoli e disponibile al seguente LINK)

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