Nalbero e la confusione urbanistica sul lungomare: una proposta di buon senso

Era la primavera 2012 quando, in occasione della Coppa America, si chiudeva al traffico il lungomare di Napoli, ossia via Partenope ed una consistente parte di via Caracciolo. Oggi, a quasi cinque anni di distanza, il cosiddetto “lungomare liberato” rappresenta l’unico lascito tangibile della competizione velica. A questa “liberazione” non è seguita alcun tipo di programmazione urbanistica, alla quale però ha fatto da ideale contraltare un fitto calendario di eventi: il Pizza Fest, lo stadio temporaneo per le gare i tennis, innumerevoli concerti alla Rotonda Diaz, fino ad arrivare a Nalbero, l’attrazione di punta del Natale napoletano 2016.

Le polemiche sull’imponente installazione, promossa dalla società di ponteggi per eventi Italstage e da essa interamente finanziata, sono state molto accese. In particolare, si sono posti diversi interrogativi sull’approvazione dell’opera da parte della Soprintendenza ai beni artistici e culturali, che, seppur nella sua temporaneità, svetta per ben 40 metri sul lungomare, alterandone fortemente il paesaggio. Da più parti, tale autorizzazione è risultata singolare, ancor di più se rapportata ai criteri molto restrittivi che lo stesso ente adotta nel prescrivere, ad esempio, l’installazione di gazebo per esercizi commerciali, o l’utilizzo di sanpietrini piuttosto dell’asfalto quando si parla di rifacimento di importanti assi viari, facendo lievitare di non poco sia i costi di costruzione che di manutenzione ordinaria. L’ultimo clamoroso esempio è la Riviera di Chiaia, strada parallela a via Caracciolo, per il rifacimento della quale la Soprintendenza ha imposto l’uso del pavé, comportando così un aumento notevole del costo dei lavori. Conseguenza: il Comune potrà permettersi di rifarla, allo stato, solo per metà della sua estensione. Si fosse adottato l’asfalto, così come proposto da Palazzo San Giacomo, i napoletani avrebbero avuto la Riviera interamente messa a nuovo.

E’ legittimo dunque chiedersi se il caso di Nalbero, seppur nel suo essere installazione temporanea (sarà smantellato nel marzo 2017), possa segnare un’inversione di tendenza, che possa portare a ritenere come, per una volta, la Soprintendenza abbia guardato al cambiamento. Del resto, una città è un organismo in continuo mutamento, e cercare di renderne eterni i tratti è una lotta a-storica. Tale riflessione si inserisce in un quadro più ampio, e pone (o almeno, dovrebbe porre) la domanda che sottende questi anni di grandi eventi vista golfo: che futuro urbanistico si immagina per il lungomare di Napoli?

Analizzando il quadro attuale, via Partenope sembra essere avviata ad esser permanentemente senz’auto. Infatti, questa meravigliosa strada, schiacciata fra il Castel dell’Ovo, la vista di Posillipo e l’isola di Capri in lontananza, grazie alla presenza di alberghi e ristoranti fronte mare, vive di vita propria. Si attende l’inizio dei lavori di risistemazione urbana, più volte annunciati, per realizzare una vera isola pedonale sul mare. Il problema si pone dunque per il lungo tratto di via Caracciolo (circa 600 metri), che comprende la Rotonda Diaz. Questa zona, non potendo contare su palazzi fronte mare, è tenuta in vita artificialmente solo da grandi eventi, che, come accennato, in questi anni non sono mancati. Tuttavia, a supporto di essi non si intravede un disegno urbanistico: non è dato sapere se sia stato effettuato uno studio dei flussi di traffico, che aumenta notevolmente in occasione di kermesse, e che comunque schiaccia quotidianamente la vita dei cittadini. A supporto dell’area pedonale non vi sono parcheggi interrati, e la rete dei trasporti è ben lungi dall’essere in grado di spingere i napoletani a lasciare a casa la macchina per raggiungere il lungomare. Il risultato è da quattro anni sotto gli occhi di tutti, o almeno sotto gli occhi di chi vuole realmente guardare i fatti: il traffico nella zona della Riviera è caotico, il parcheggio affidato alla casualità e monopolizzato da posteggiatori abusivi, ed il lungomare pedonale, il più delle volte, soprattutto durante la settimana, è deserto, al contrario di via Partenope.

Parallela a via Caracciolo scorre viale Dohrn, che divide la Villa Comunale dagli spazi del Circolo del Tennis. Quest’arteria è stata per anni un inutile doppione di via Caracciolo, utilizzata, nei fatti, soltanto quando questa era chiusa al traffico per sporadici eventi, o impiegata come un immenso parcheggio a cielo aperto, soprattutto nelle sere della movida – cosa che avviene tuttora. Con la chiusura definitiva di una parte di via Caracciolo, il traffico è stato permanentemente deviato su viale Dohrn, creando una gimcana a doppio senso. Durante la sindacatura Iervolino (2001-2011), in collaborazione con la Regione Campania e nell’ambito della costruzione della metropolitana Linea 6, si affidò all’architetto tedesco Hans Kollhoff la progettazione della stazione “Arco Mirelli”, in piazza della Repubblica. Ebbene, l’ambizioso disegno urbanistico del celebre architetto prevedeva il ricongiungere, finalmente, in un unico parco la Villa Comunale e le zone antistanti il circolo del tennis, creando così un lungo quadrilatero verde a due passi dal mare, e risolvendo la dualità via Caracciolo-viale Dohrn, sopprimendo quest’ultimo. Il progetto, semplice quanto al contempo realmente rivoluzionario, è riassunto in quest’immagine:

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Il disegno di Kollhoff prevedeva, assiema alla stazione della metropolitana, anche un parcheggio interrato a servizio della zona. In più, all’interno della “nuova” Villa, vi sarebbe stata una zona destinata a grandi eventi, ad occhio più capiente dell’attuale Rotonda Diaz, come la successiva immagine testimonia:

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L’idea, però, non ebbe il beneplacito della Soprintendenza, svanendo miseramente. Ritorna dunque il tema della città in mutamento: davanti alla possibilità di regalare un vero polmone verde sul mare, con tanto di servizi ai cittadini e spazi permamenti per la collettività (non temporanei come oggi avviene), non si ebbe il coraggio di innovare. Analizziamo però la conformazione di via Caracciolo: nel tratto interessato dalla pedonalizzazione, la carreggiata è larga, marciapiedi esclusi, circa 14 metri. Vi sono quattro corsie, ed una pista ciclabile. Quattordici metri di asfalto non sono pochi: vi è ipoteticamente spazio per tutti, che siano auto, bici, pedoni.

Il punto è il seguente. Chiudere una strada lato mare, che non ha spazi commerciali che affacciano su di essa, è una misura sicuramente d’impatto, ma che pone delle problematicità, ad oggi apparentemente non affrontate, senza incidere davvero nell’urbanistica della zona. Se si volesse realizzare veramente un’operazione rivoluzionaria, concetto tanto caro all’attuale amministrazione, si rispolveri il progetto di Kollhoff. Si dia a Napoli un grande parco a due passi dal mare. E, se si vuole favorire la passeggiata dei napoletani a ridosso degli scogli, allora si sopprimano due corsie dell’attuale via Caracciolo, allargando i marciapiedi, e trasformando la strada da 4 a 2 corsie (più pista ciclabile), e che questa sia senso unico, in attesa che l’apertura della metropolitana alleggerisca realmente il caotico traffico cittadino. Infatti, giova ancora una volta ricordare che chiudendo sic et simpliciter le strade non si risolvono i problemi di traffico di una città, quando questa non è (ancora) percorsa da adeguate infrastrutture.

Si guardi agli interventi urbanistici realizzati a Valencia per ospitare la Coppa America. Si guardi a tante altre città, soprattutto spagnole, ridisegnate negli ultimi decenni da grandi eventi, come le Olimpiadi a Barcellona, o l’apertura del museo Guggenheim a Bilbao con relativo recupero dei quartieri circostanti. Oppure, si guardi semplicemente a casa nostra, con il lavoro svolto e la vivibilità di interi quartieri migliorata con il progetto della metropolitana dell’arte, di cui il progetto di Kollhoff per la Linea 6 è diretto erede.

Napoli ha fame di verde, forse più che di spazi rubati alle auto – che poi spesso le cose vanno di pari passo. In questo senso, il progetto dell’architetto tedesco rappresenta veramente un’occasione d’oro per cambiare profondamente, e positivamente, il volto di una parte storica della nostra città. Lo si recuperi. Lo si modifichi, se serve, ma senza snaturarlo. Ci si sieda al tavolo con la Soprintendenza, per discuterne, dopo anni dalla sua bocciatura. Si verifichi se le condizioni all’interno di quell’ente sono cambiate, e vi sia spazio per approvarlo. Del resto, è già redatto, pagato coi soldi dei contribuenti. Se questa amministrazione vuole davvero lasciare un segno nella vita dei napoletani, chiudere una delle poche strade ad ampio respiro della città, senza un progetto, senza una visione, senza una prospettiva, ma solo sull’onda emozionale di qualche regata, non è sufficiente, non è utile, non è prospettico. Un Nalbero, isolato, non fa primavera, non fa sviluppo, non fa vivibilità: per raggiungere tali obiettivi, è necessario incidere profondamente nella vita dei quartieri e della città. Altrimenti, resteranno solo pizze sul lungomare e impalcature natalizie, che non reggeranno il confronto impietoso del tempo, come già non reggono, nella memoria di tanti, quella delle installazioni artistiche a piazza del Plebiscito. Ma quella, si sa, era un’altra storia, un altro tempo, e decisamente un’altra visione di città – o forse l’unica che veramente vi sia mai stata.

 

(Articolo pubblicato per conto della testata giornalistica QdN – Qualcosa di Napoli e disponibile al seguente LINK)

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