Il Primo Maggio del lavoro che muore

Ci sono pochi momenti social come il 1° Maggio in cui si scatena la fiera delle frasi fatte. Ebbene, è da qualche anno che lavoro. Sono un trentaduenne, lavoro in Italia e sono (tabelle alla mano) altamente specializzato in quanto laureato e con un master di II livello, parlo due lingue e ne mastico una terza, ecc. Come me, centinaia di migliaia di miei simili.

Nella mia pur breve esperienza lavorativa non ho mai incontrato il sindacato: quando ero in consulenza, non ho mai visto un loro esponente. Eppure le società di consulenza si dovrebbero notare: sono le uniche che assumono, anche durante la crisi, impiegando migliaia di giovani laureati (fra cui decine di miei amici), con orari infami, senza straordinari, e paghe in proporzione da fame.

Quando ero collaboratore parlamentare, durante la XVII legislatura (2013-2018), a guidare Camera e Senato vi erano due esponenti della sinistra più intransigente, Laura Boldrini e Pietro Grasso: non ci hanno neanche ricevuto come Associazione Italiana Collaboratori Parlamentari – AICP (ripeto: un’associazione, non un sindacato). Avremmo voluto raccontargli come i collaboratori parlamentari siano figure fondamentali che, nell’ombra, contribuiscono a scrivere le leggi dello Stato, e che spesso sono giovani senza alcuna tutela, come diverse inchieste hanno evidenziato. A dimostrazione della doppia morale della sinistra-sinistra, che sul lavoro fa battaglie di retroguardia.

Da stagista, non ne parliamo: mi ricordo che appena entrai al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (MIT), per fare uno stage non retribuito, i sindacalisti si battevano contro l’abolizione dell’abbonamento gratuito dei mezzi pubblici esclusivamente per i dipendenti dello stesso MIT. Una battaglia lunare per chi, come me, pur con i titoli sopra citati non percepiva un Euro, ma sedeva affianco ad un dipendente pubblico, diplomato, entrato vent’anni prima con l’ultimo concorso svolto senza parlare una lingua straniera o avere competenze specifiche, ma con tutele contrattuali di ogni sorta.

L’unico sindacato che ho toccato con mano, se così lo si può definire, è l’Ordine dei Giornalisti: costosissimo (93 Euro l’anno) per avere zero servizi, erogati da chi, mediamente, scrive peggio di me. La rappresentazione plastica di una realtà che non esiste più, un simulacro tenuto in piedi per pochi ed inutile per molti, così come tutti gli ordini professionali – che non vanno aboliti, bensì profondamente riformati.

Il Quinto Stato di Hernán Chavar

“Il Quinto Stato” di Hernán Chavar (2017), artista argentino che reinterpreta in chiave contemporanea il celebre “Quarto Stato” di Pellizza da Volpedo (1901)

Oggi, il mondo è pieno di Deliveroo, Airbnb, Uber e così via, che hanno rovesciato i paradigmi del lavoro classico, cavalcando l’illusione dell’uomo “imprenditore di sé stesso”, e che invece si ritrova incastrato in nuove logiche di sfruttamento. Ed è anche pieno di praticanti avvocati, trattati come servi della gleba in studi di presunti santoni del diritto, a cui nessuno si ribella, ma che sono sempre pronti a sparare sulla cattiva politica – dalla quale, però, ricevono importanti prebende, tutto a costo dei contribuenti (perché si sa, il professore universitario fa tanto “tecnico super partes”). O di baristi, che fanno cocktail spettacolari dopo anni di nottate passati svegli, o di inservienti, che puliscono dove passiamo le nostre serate a divertirci o gli uffici dove lavoriamo, schiacciati da aziende che vincono gare sempre ed eternamente al massimo ribasso, o di dottorandi, che tengono in piedi le università (che se fosse per i professori… auguri), facendo esami senza averne i titoli, scrivendo ricerche per conto terzi, mettendo pezze a colori a non finire, così come fanno i medici specializzandi, strizzati nei pronto soccorsi come se fossero medici strutturati perché sono anni che non si assume negli ospedali, e se si assume il primario di turno ci mette sempre una parola che spesso non va nella direzione della meritocrazia.

In tutte queste realtà, il sindacato semplicemente non esiste. Non è un modo di dire, un’opinione suscettibile di contraddittorio: è una constatazione, un dato fattuale, dunque una verità.

Stanno crescendo generazioni di persone iper specializzate (che storicamente sono più attente ai temi sociali) senza cognizione dei loro diritti, dei loro doveri, in un’infinita guerra fra poveri e quelli che si possono definire nuovi poveri, che emigrano sempre più a nord, per sempre meno soldi, e non per fare carriere d’eccellenza, ma per guadagnare quella miseria che basta per sopravvivere, avere una vita normale con servizi che funzionano, e permettersi così una serenità (magari di coppia) per la quale abdicano ai propri diritti ed alla propria vita privata.

Motivo per il quale guardo come un simulacro le foto dei cortei: sono scattate oggi ma per me potrebbero essere scattate 100 anni fa, è lo stesso, anzi forse la storia darebbe loro più dignità. Quella dignità che spesso ho visto persa ai tavoli di lavoro con la politica, alle rivendicazioni sterili e di retroguardia, al non capire che un certo mondo è finito, non tornerà mai più – e forse è un bene. Quella dignità persa nel non capire che in questa nuova lotta fra poveri uno sciopero a settimana nei trasporti pubblici locali non è sostenibile, e ti allontana ancora di più dalla gente, e soprattutto dai giovani, che usano quei mezzi per andare a lavorare nelle condizioni sopra elencate. Quei giovani cui nessuno chiede mai nulla, un’opinione, un’attenzione, e che poi fuggono dall’Italia, spopolano il Sud dove il lavoro è ancora e sempre un favore per il quale si deve ringraziare.

Non si tratta di festeggiare o meno, non si tratta di sapere o meno cosa si festeggi e perché, ma si tratta di guardare al futuro, per dare un senso a questo giorno. Tutelando solo chi è già tutelato, il mondo del lavoro, semplicemente, muore – ed un’intera generazione con esso.

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