La cenere alla cenere di Città della Scienza

Quando comincia a piovere, la cenere, goccia dopo goccia, diventa sempre più nera. L’odore acre di plastica, legno, e carta bruciata, muta. Perde la sua connotazione acida, precisa, pungente. L’acqua confonde gli odori, confonde i materiali, rendendo così i resti anneriti della Città della Scienza un unico pantano indistinguibile, un magma scuro come la pece. Il cielo, grigio, carico di pioggia, si confonde con lo scenario desolante, e ne è il perfetto sfondo. Su questo palcoscenico di colori scuri, lo stacco visivo provocato dalle tute bianche dei poliziotti della scientifica è impressionante. Lì, dove un tempo alambicchi colorati facevano divertire i bimbi, non v’è più nulla di allegro. Vi sono forse tracce, poche, impercettibili all’occhio umano, che ci diranno qualcosa di più sul perché di tutto questo. Ironicamente, l’ultimo atto della pluriennale esistenza della Città della Scienza è stato compiuto dalla polizia, per l’appunto, scientifica.

Ciò accadeva esattamente un anno fa, il 4 marzo 2013, ma era forse destino. Del resto, un luogo di divulgazione scientifica, così come vi è in ogni città importante d’Europa, un luogo dove imparare divertendosi, era in contrasto con Napoli. Quasi un corpo estraneo. Siamo nella città della scaramanzia, della religione cattolica di rito pagano, dei quartieri chiamati Miracoli, della devozione più ostinata a San Gennaro, dove si attende tutto un anno per il prodigio del sangue che si scioglie. Si dice che se questo miracolo avviene, la città sarà protetta dai mali. Che tutto andrà bene. Che le cose miglioreranno. E quando anche il protettore della città dovesse fallire, per le strade del centro storico ci si imbatterà in altarini all’altro santo protettore, Maradona. Un suo capello è custodito dietro una teca di vetro. Una reliquia di stampo para-cristologico.

Può veramente esserci una “città della scienza” in questa città? Dove perfino i medici, come Giuseppe Moscati, sono venerati come santi, e ricoperti di ex-voto d’argento, ancora tutt’oggi? E’ forse questo il bello di Napoli. Città dai mille contrasti. La città della scaramanzia, dove sono nati grandi menti scientifiche. Dove centri d’eccellenza (il CNR, il CEINGE del Policlinico, il Centro di Biotecnologie dell’ospedale Cardarelli, la facoltà di ingegneria con le sue mille specializzazioni, la facoltà di fisica, e potrei continuare) vivono una vita parallela, nella città eppure slegata da essa. In ombra. Protetti dal folklore che da sempre la città richiama alla mente, che però così oscura una parte della città stessa, quella più vicina ad un concetto standardizzato, e forse ormai da rivedere, di modernità di stampo occidentale.

Città della Scienza era un altro di questi splendidi contrasti tra la tradizione, il credo, il culto popolare, ed il resto del mondo. Sorgeva nel cuore di un altro enorme contrasto, di quella Bagnoli che con il suo Italsider era un tempo cuore industriale di un Sud da sempre povero d’industrie, ed ora enorme vuoto urbano in attesa quasi trentennale di un’occasione di riscatto. Al contempo, Città della Scienza era l’avamposto delle speranze di rinascita di quella parte di città. La sua apertura fu contemporanea ad un momento di speranze, però, per la città intera. Erano gli inizi degli anni ’90. Un’altra era, un’altra primavera, che forse non tornerà più.

Chiunque abbia incendiato, per qualsiasi motivo, Città della Scienza, non ha solo ucciso un museo. Un museo diverso da tutti i musei italiani: polverosi, tutti simili, pieni di “cose vecchie”, quelle che annoiano i bambini. Così invidiatici dai turisti europei e non, mentre magari noi invidiamo un po’ della loro modernità. Chiunque abbia incendiato Città della Scienza ha ucciso un luogo di gioia, visitato ogni anno da oltre 350 mila persone, quasi tutte scolaresche. Un luogo dove era possibile imparare divertendosi, emancipandosi un momento dalle aule cadenti, dai libri di testo, dalle lezioni con i gessetti monocolore.

Chi ha bruciato tutto questo ha distrutto anche qualcosa di, purtroppo, ben più grande. Ha ucciso ogni possibilità di rilancio di Bagnoli. Ha ucciso una prospettiva. Portata avanti con fatica, con pochi soldi, ma che c’era. E’ tutto lì, in buona parte ancora su carta. Il parco urbano, la spiaggia, il porto, l’acciaieria riconvertita in palazzetto della musica, le nuove aule per l’università, i Napoli Studios per girare film e sceneggiati tv, i palazzi da abitare ecosostenibili. E’ tutto progettato, definito. Servono solo i soldi. I pochi arrivati, sono serviti ad ampliare, negli anni, la Città della Scienza, affiancata dall’acquario tematico per le tartarughe marine, propaggine dell’acquario in Villa Comunale, altro luogo di scienza e di ricerca. E poi, lo splendido parco dello sport, edificato nella spettacolare cornice fornita dalle pendici della collina di Posillipo, e il pontile, che per quasi un kilometro si perde nel mare, come se fosse l’oceano californiano. Infine, la Porta del Parco su via Diocleziano, centro benessere avveniristico, che sembra un’astronave.

Ebbene, Porta del Parco, centro sportivo e Acquario tematico sono le sole opere completate, ma chiuse. Ferme. In attesa di soldi. E di carte, autorizzazioni, collaudi, verifiche. Opere portate avanti dalla precedente giunta regionale, e abbandonate dall’attuale, in nome dell’austerità che uccide le prospettive di rinascita dei luoghi, dei territori e della gente che vi abita. Così, ad un anno da quelle fiamme che si riflettevano sul mare – uno spettacolo così inusuale per una città mediterranea – Bagnoli resta sospesa. Con vuoti ancora enormi da colmare, opere da aprire, altre da costruire, e altre ancora da immaginare. Ora, chi negli anni l’ha abbandonata, usata come un enorme spot elettorale o come arma di critica politica, se ne riempie la bocca, e promette rinascite, ricostruzioni. Con valanghe di soldi. Quei soldi che però non c’erano neanche per pagare gli stipendi dei lavoratori, che da mesi garantivano il sorriso ai 350 mila bambini l’anno gratuitamente.

A queste promesse, soprattutto dopo un anno di nulla, è difficile credere. E’ difficile credere che si ricostruirà tutto, più bello di prima. Si è perso lo spirito che ha portato a quella piccola meravigliosa contraddizione che era la Città della Scienza. Si è perso tempo nel trasformare il trauma di una gigantesca dismissione industriale in un volano per l’economia cittadina. Si è persa la fiducia dei cittadini, e con essa una classe politica in grado di portare avanti un discorso del genere. Ora, anche se domattina dovessero arrivare vagonate di denari, questa classe dirigente sarebbe probabilmente incapace di realizzare quanto promesso.

A queste promesse, Napoli sembra non voler credere, o forse non ci vuole credere. Così, lo stupore della città sarà ancora più grande se il miracolo della ricostruzione, e della realizzazione della “nuova Bagnoli”, avverrà. Ancora una volta, nei napoletani irrazionalità e scientificità si fondono. E si accende una speranza. E’ flebile, e rischia di essere soffocata ogni volta che un politico locale rilascia un’intervista fatta di proclami altisonanti. Tuttavia, è meglio di niente. E’ il capello di Maradona che resiste nei tempi. E’ il sangue di San Gennaro che si scioglie. E’ un ex-voto d’argento per la protezione di un medico fatto santo. O forse non è nulla di tutto ciò. Non importa. Basta che questa flebile speranza non sia altra cenere alla cenere, e polvere alla polvere.

(Riflessione pubblicata per conto della testata giornalistica QdN – Qualcosa di Napoli e disponibile al seguente LINK)

3 pensieri su “La cenere alla cenere di Città della Scienza

  1. Ricordo un mio caro amico che portava un folto caschetto e che fu mandato su una strana macchina che gli fece alzare tutti i capelli biondissimi al cielo. Quante risate, e quanto stupore !!! Tra qualche mese parte per un phd a Zurigo in biologia.
    Chissà che la città della scienza non lo abbia ispirato.

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