Il trasporto in Campania e le sue ceneri: sei punti per ripartire

Lo scorso 25 agosto un treno EN 300 della Cumana, una delle principali ferrovie suburbane della provincia di Napoli, gestita dall’Ente Autonomo Volturno (EAV), è andato a fuoco. Per fortuna, non vi sono state conseguenze per i tanti pendolari che lo affollavano. Tuttavia, quello che può sembrare come un episodio sfortunato è in realtà solo l’ultimo atto di un disagio dell’intero settore dei trasporti campani che viene da lontano. Un disagio che ha nomi e cognomi, e che comincia esattamente cinque anni fa.

Era il luglio 2010 quando, con alcune delibere, la giunta regionale dell’appena insediato Stefano Caldoro bloccava ogni forma d’investimento per le linee di trasporto pubblico locale (TPL) gestite dalla Regione, sia a livello infrastrutturale che di nuovo materiale rotabile. Fu poi compito dell’assessore al ramo, Sergio Vetrella, diminuire costantemente la spesa corrente del settore – quella che, per capirci, permette di stabilire quante corse di treni e bus all’anno è possibile effettuare, che permette di pagare i pezzi di ricambio per i mezzi e che consente di pagare gli stipendi dei dipendenti. In camera caritatis, fra gli addetti ai lavori Vetrella era soprannominato “Attila”: dopo un lustro di gestione trasporti targata centro-destra, e con carte alla mano, è difficile immaginare soprannome più indovinato.

Infatti, negli anni del centro-destra la Regione applica un draconiano taglio dei fondi destinati al TPL, che passano dai 395 milioni l’anno del 2010 ai 286 milioni del 2012 – ben 109 milioni in meno in un solo biennio, il 28% dell’annuale cifra destinata al settore durante il decennio di gestione regionale targata PD, secondo quanto certificato dall’Agenzia Campana per la Mobilità Sostenibile (ACAM). La diminuzione della spesa corrente si traduce rapidamente in un vistoso peggioramento del servizio, soprattutto delle linee su ferro. Come evidenziato dall’ultimo rapporto “Pendolaria” di Legambiente, le linee EAV sono state le più colpite dalla scure dei tagli: dal 2009 al 2013, la Circumvesuviana registra un taglio delle corse pari al 59%, con un aumento dell’affollamento dei treni pari al 20%. Non va meglio sulla rete ex-SEPSA (Cumana e Circumflegrea), che hanno visto un taglio delle corse pari al 32%. Esemplificativo è il numero di vettori fermi sulle linee EAV: a fronte di circa 180 treni disponibili, all’inizio del 2014 solo 52 (il 28%) erano disponibili per l’esercizio [1]. Mancano i pezzi per riparare i treni fermi, e la scarsa manutenzione comporta corse saltate, treni fermi nelle gallerie, attese sulle banchine interminabili e mezzi affollatissimi. Il treno della Cumana andato a fuoco ad agosto è solo l’ultimo tassello di un quadro di disagio, ma è esemplificativo: l’EN 300 era in servizio dal 1976.

Se da un lato la Regione taglia risorse al trasporto pubblico, dall’altro chiede ai cittadini di pagarne il prezzo non solo in termini di disagi, ma anche monetario. Infatti, nel quadriennio 2010 – 2014 si registra un aumento delle tariffe del 23,75%. Il micidiale mix di tariffe più alte e servizi più scadenti si traduce in 150.000 passeggeri in meno sulla rete ferroviaria campana, che passa dai 420.000 del 2009 ai 271.000 del 2014, sempre secondo Legambiente [2]. Come se non bastasse, la Regione ad inizio 2015 modifica profondamente il sistema tariffario, che, grazie al biglietto Unico, consentiva l’accesso con un solo tagliando a tutti i mezzi di trasporto, seppur gestiti da aziende diverse (ANM, EAV, CTP, Trenitalia, etc.). Il sistema di trasporti campano era, infatti, concepito come integrato, dunque con il focus rivolto sull’utente. In altre parole, non è rilevante chi gestisce il trasporto su una determinata direttrice: il cittadino deve essere libero di muoversi con un solo biglietto, che, da solo, garantisce l’accesso all’intero “sistema” trasporti. Con l’abolizione di Unico, si è spostato il centro del discorso dall’utente alle aziende: ognuna di esse emette il proprio biglietto, curando i propri interessi, in primis economici. Dunque, dopo vent’anni di felice integrazione tariffaria, in cui Napoli era indicata addirittura come esempio virtuoso dalla Commissione Europea nel Libro Bianco sulla Politica Europea dei Trasporti (2001, p. 80), l’introduzione nuovamente dei biglietti aziendali ha ingenerato un aumento dei costi a carico degli utenti, creando confusione in una cittadinanza ormai abituata ad una delle poche buone pratiche presenti in regione. Il tutto a fronte di modestissimi aumenti degli introiti per le singole aziende di TPL.

Se la spesa corrente ha subito un duro colpo in cinque anni di gestione centro-destra, è forse ancora più tragico il panorama degli investimenti. Infatti, come si è detto, con il DGR 534 del luglio 2010, la giunta Caldoro, in regime di autotutela contro lo sforamento del patto di stabilità, decide la sospensione di tutte le delibere di spesa con effetto retroattivo emanate dall’amministrazione uscente, bloccando dunque il normale processo di continuità burocratica. La scelta comporta anche il blocco dei Piani Attuativi della Metropolitana Regionale, indispensabili ai fini del completamento delle opere già cantierate. Nonostante la Regione avesse promesso una rapida riprogrammazione dei fondi, questa verrà presentata solo nel febbraio 2014, ben quattro anni più tardi. Nel mentre, il blocco dei cantieri in essere ha causato l’apertura di contenziosi, la perdita di preziosi fondi europei e nazionali, e la necessità di riprogrammare le voci di spesa. Un danno enorme per Napoli e la Campania, che vede immobili opere come il completamento dell’anello della Linea 1 (tratta Piscinola – Piazza Di Vittorio a Capodichino), l’abbandono del cantiere della stazione di Monte Sant’Angelo (a servizio del campus dell’Università Federico II e del Rione Traiano), il blocco dei lavori di raddoppio delle linee flegree (che consentirebbe, a regime, di avere un treno ogni 10 minuti su Cumana e Circumflegrea), il forte ritardo per le gare necessarie all’acquisto di nuovi treni per diverse linee metropolitane (linee flegree e Linea 1), e infine la non apertura di stazioni praticamente finite come quella di Baia (linea Cumana), Traccia (Linea 2) e Melito (MetroCampania Nord-Est), con grave disagio per gli abitanti di quartieri storicamente isolati.

Dopo un lustro di cura Caldoro-Vetrella, il settore del trasporto pubblico campano è, dunque, in ginocchio. Non servirebbe neanche leggere i sopracitati dati: basterebbe prendere un treno da Montesanto (capolinea delle linee flegree), o magari aspettare un autobus. Gli amanti del rischio possono provare ad avventurarsi in una delle tante stazioni della Circumvesuviana sparse in provincia di Napoli, ormai terra di nessuno e devastate da vandali, come più volte denunciato da diversi giornali. Un simile destino è toccato alle (all’epoca) scintillanti stazioni della MetroCampania Nord-Est aperte nel 2009, la linea che collega Piscinola con Aversa passando per Giugliano. Di questo sfascio è ben consapevole il neo-governatore Vincenzo De Luca. Uomo del fare, è da sempre attento alle infrastrutture (fu anche, per un breve periodo, Viceministro al ramo), e sa bene quanto, per far ripartire la Campania, è in primis necessario assicurare ai suoi quasi sei milioni di abitanti la possibilità di muoversi agevolmente con il mezzo pubblico.

Tuttavia, ripartire non sarà facile, riassumibile in sei punti. In primis, è richiesto uno sforzo corale, non solo della Regione: la maggior parte delle risorse, infatti, transita per Stato centrale ed Unione Europea. Il blocco dei Piani Attuativi ha comportato un ritardo di spesa sia dei fondi europei che di quelli nazionali. E’ necessario dunque una delicata operazione “politico-diplomatica”, al fine di strappare deroghe alla Commissione di Bruxelles, generalmente poco propensa nel concedere eccezioni, soprattutto quando si tratta di regioni che hanno già dimostrato in passato l’incapacità di spendere le risorse assegnatele. Lo stesso vale per Roma, dove sarà necessario recuperare, nelle pieghe di delibere CIPE, Piani Nazionali vari e Leggi di Stabilità, i fondi destinati alla Campania ma rimasti inevasi. In dieci anni di governo regionale, dal 2000 al 2010, l’ex governatore Bassolino fu in grado di organizzare un’efficiente macchina amministrativa con tanti giovani professionisti, il che garantì alla Campania una notevole disponibilità di fondi. Il tutto, in un periodo nel quale il governo nazionale era di colore ostile (governi Berlusconi II & III). Oggi, le condizioni politiche sono più favorevoli, ma non ciò non deve distogliere dal fatto che il primo punto per rilanciare il settore trasporti è rivedere la macchina amministrativa, non seguendo logiche clientelistiche, ma di merito. Solo così sarà possibile recuperare ogni Euro necessario al TPL.

Solo con risorse fresche in cassa sarà possibile procedere al secondo punto: la chiusura rapida dei contenziosi. Il blocco dei cantieri operato dal centro-destra ha comportato l’apertura di numerose cause legali, intentate dalle aziende che, risultate vincitrici degli appalti, si sono trovate improvvisamente senza soldi in cassa. Il sistema è il seguente: gli enti pubblici affidatari degli appalti non pagano con regolarità, bensì con forte ritardo. E’ dunque compito delle imprese anticipare le risorse necessarie per l’acquisto di materiali da costruzione, fitto di attrezzature, etc. Alle aziende è concesso tale credito dalle banche poiché queste sanno che l’ente pubblico rimborserà, anche se con ritardo, le spese sostenute per realizzare le opere. Un meccanismo, come si può intuire, assai fragile, poiché basato su una sfasatura temporale fra l’emissione del credito nei confronti delle aziende e il rimborso da parte delle istituzioni. Nel momento in cui, come successo nel 2010, viene a mancare il rimborso da parte della Regione, le aziende appaltatrici sono impossibilitate a completare le opere, non avendo più disponibilità di cassa e non potendosi ulteriormente esporre con le banche. A quel punto, le imprese fanno causa alla Regione.

Questo genere di contenziosi comporta un aumento esponenziale del costo delle opere, oltre a ritardi notevolissimi. Infatti, fin quando il contenzioso è in atto, non si può continuare a lavorare nei cantieri. Di contro, sia le aziende che la Regione ben sanno che cause di questo genere comportano tempi di risoluzione molto lunghi. Dunque, una disponibilità di risorse fresche, oltre ad un credito politico molto forte, consentirebbero di chiudere rapidamente i contenziosi in atto e riprendere rapidamente la realizzazione delle opere. Questo potrebbe avvenire con offerte di patteggiamento da parte dell’ente pubblico: se un’azienda fa causa per svariati milioni di Euro, conoscendo i tempi della giustizia (che porterebbero, eventualmente, ad ottenere il rimborso dopo anni) è comunque ben disposta ad accettare una cifra di molto inferiore offerta dalla Regione per chiudere la causa, a condizione che la cifra offerta fosse cash, dunque subito disponibile. In sintesi, difficilmente un’azienda in contenzioso rifiuterebbe un uovo oggi per un’ipotetica gallina domani.

Tuttavia, per portare a termine tali negoziazioni, è necessaria non solo una struttura amministrativa di alto livello, ma anche figure politiche molto forti. All’epoca bassoliniana, assessore ai trasporti era Ennio Cascetta, stimato luminare del settore. Per dieci anni, ebbe carta bianca: tutti sapevano che dietro il prof. Cascetta vi era l’uomo politico più potente del Sud Italia. Cascetta e Bassolino rappresentarono un felice esempio di connubio fra competenza tecnica e copertura politica; questo porta al terzo punto necessario per far ripartire i trasporti in Campania: nominare un assessore al ramo competente e rispettato nell’ambiente, garantendogli al contempo ampia libertà d’azione e copertura politica pressoché totale. Tuttavia, al momento il neo-governatore De Luca non ha previsto un assessore al ramo. E’ dunque auspicabile che questo venga presto nominato, e che risponda ai sopracitati criteri.

Avere interlocutori istituzionali è, infatti, fondamentale sia per le aziende di trasporto che per gli utenti. Nei passati cinque anni, il settore dei trasporti in Campania è stato caratterizzato non solo da una pessima gestione, ma anche da una vera e propria assenza di comunicazione fra i diversi attori. Più volte, anche pubblicamente, l’ex assessore Vetrella si è mostrato indisponibile al confronto con le controparti, politiche e non. Parimenti, i vertici della maggiore azienda regionale, l’EAV, sono apparsi distanti dalle istanze della cittadinanza, non riuscendo, con ciò, ad evitare misere figure come il fallimento, nel 2012, della EAV Bus, la società regionale di trasporto su gomma. Dallo scorso luglio, a guidare l’EAV vi è Umberto De Gregorio, uomo di riferimento a Napoli di De Luca. Pur essendo nuovo nel settore dei trasporti, De Gregorio sta cercando di colmare quanto più è mancato in questi anni, prima ancora dei treni, dei soldi, delle stazioni e della sicurezza: la fiducia fra istituzioni e cittadini. Un obiettivo che si può raggiungere solo con il quarto puntol’informazione all’utenza. I moderni mezzi di comunicazione consentono di aggiornare in tempo reale i viaggiatori su qualunque disservizio. Parimenti, è necessario ripensare ad un sistema di comunicazione visiva (mappe della rete, schemi delle linee, cartellonistica) in grado di permettere a tutti i cittadini di muoversi agilmente in quel che un tempo era stato concepito come un sistema integrato di trasporto. L’informazione all’utenza è altresì un passaggio fondamentale per agevolare la fruizione turistica di Napoli e della sua provincia: proprio quest’estate 2015 ha fatto riscontrare un boom di presenze in città, alla quale non è corrisposta un’accessibilità del TPL. Come in ogni città europea, il cittadino/turista che prende un mezzo deve sapere fra quanto tempo passerà, che percorso fa, che frequenza ha, e in quali punti si interscambia con quali altre linee. Parafrasando qualche slogan delle passate elezioni regionali, la rivoluzione della semplicità e delle piccole cose.

Per troppo tempo le aziende di trasporto campano sono state considerati dalla politica stipendifici: utili non ad erogare servizi, ma stipendi, favori, prebende. Il tutto a discapito degli utenti. Tuttavia, il settore del TPL è molto particolare: necessita sia di conoscenze economiche, che di settore. Dieci anni di governo regionale illuminato hanno consentito alla Campania la formazione di tantissime professionalità, poi messe da parte per logiche spartitorie dalla giunta Caldoro. E’ tempo di ripartire con nuovi criteri aziendali, poiché i cittadini campani non hanno idea di cosa significhi un TPL di qualità. Dunque, insieme allo sblocco degli investimenti e coperture politiche, servono il quinto e sesto punto: un aumento della spesa corrente per il settore e la riforma delle aziende pubbliche operanti in esso. Infatti, solo con un ridisegno aziendale sarà possibile non depauperare le eventuali risorse aggiuntive. Sarà poi necessario, a sistema messo a regime, decidere se intraprendere la strada della privatizzazione del settore, tramite apposite gare, oppure continuare con l’attuale modello completamente pubblico.

La strada da fare è tanta. Tuttavia, se si eviterà di cadere nella tentazione di continuare a gestire il TPL secondo vecchie logiche spartitorie, allora la Campania si rimetterà, davvero, in movimento. Sarà un movimento vero: non a passo di gambero, ma verso il futuro.

I sei punti per far ripartire il trasporto pubblico in Campania:

  1. Rivedere la macchina amministrativa con professionisti del settore, e non con “amici degli amici”, per permettere di rinegoziare con Roma e Bruxelles i fondi destinati ai potenziamenti infrastrutturali
  2. Chiudere rapidamente i contenziosi grazie a risorse cash e far ripartire i cantieri
  3. Nominare un Assessore regionale ai Trasporti competente e rispettato nell’ambiente
  4. Potenziare l’informazione all’utenza a tutti i livelli
  5. Aumentare i fondi destinati annualmente al settore
  6. Riformare la governance delle aziende di TPL, per poi decidere se metterle sul mercato

[1] Elaborazioni sulla base dei dati contenuti nel documento dell’Ente Autonomo Volturno (EAV) Unità di trazione disponibili per l’esercizio anno 2014, numero protocollo 0017213, emesso in data 19 dicembre 2013

[2] Legambiente, Pendolaria 2014

 

(Articolo pubblicato per conto della testata giornalistica QdN – Qualcosa di Napoli e disponibile al seguente LINK)

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