Le fusioni aziendali non sono la panacea: parola di Pietro Spirito

Due delle maggiori aziende di trasporto in Italia, ed al contempo due esempi negativi di fusioni, ATAC a Roma ed EAV in Regione Campania. Ha preso le mosse da questo duro esempio Pietro Spirito, Presidente dell’Autorità di Sistema Portuale del Mar Tirreno Centrale, nel suo intervento al convegno “Razionalizzazioni dei mercati e aggregazioni fra imprese di trasporto”, organizzato dalla Società Italiana di Politica dei Trasporti (SIPOTRA), giovedì 26 gennaio 2017, presso l’auditorium dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, a Roma.

Pur non citandolo, Spirito attinge a piene mani dal suo più recente lavoro, “Trasportopoli”, edito da Guerini, nel quale racconta quattro difficili anni da dirigente ATAC, in una lotta quotidiana contro inefficienze e ruberie. La tesi principale, che si estende anche al campano Ente Autonomo Volturno (EAV), nato nel 2012 dalla somma di diverse società di trasporto regionali, è che la politica ha usato le fusioni per mascherare i problemi delle aziende, paradossalmente aggravandoli. L’immagine richiamata è forte: si è seguita la linea secondo la quale due o più cadaveri potessero creare un organismo sano. Invece, si è soltanto ottenuto un cimitero più vasto.

Tre sono i principali filoni di inefficienza. In primis, i sindacati, che hanno utilizzato l’occasione fornita dalle fusioni per allargare il perimetro delle inefficienze. In questo senso, la memoria corre immediatamente al caso Parentopoli in ATAC, con oltre 800 assunzioni fra il 2009 ed il 2010. In secondo luogo, sono venuti meno i dirigenti aziendali, spesso asserviti alla politica, e dunque acritica verso di essa. Non riconoscendo la loro stessa azienda come valore in sé, questa automaticamente diviene una mera ombra del sistema politico. L’azionista, dunque la politica, è infine il principale fattore critico. Infatti, nelle controllate pubbliche, l’azionista è al contempo anche il committente e controllore dei servizi. Fin quando questo conflitto d’interessi non verrà sanato, come all’epoca si provò a fare nel processo di divisione aziendale di Ferrovie dello Stato, la politica continuerà ad usare le imprese di trasporto come strumento di consenso elettorale.

Dunque, le fusioni non sono necessariamente un bene, né sono una panacea a tutti i mali, bensì rappresentano uno strumento, che necessita di un doveroso processo di monitoraggio e misurazione. In questo senso, secondo Spirito è necessario abbandonare anche un’altra idea molto citata nel dibattito pubblico: le economie di scala. Infatti, è falso che aggregando  segmenti d’offerta differenti si possano generare risparmi. Ferro e gomma hanno meccanismi e strutture di gestioni differenti, non sovrapponibili. L’unico campo in cui è possibile realizzare economie è nel management, campo nel quale, almeno in ATAC, si è invece provveduto ad assunzioni incontrollate ed ingiustificate. Dunque, in assenza di vere sinergie industriali, declamare la necessità di economie di scala è niente di più che uno spot elettorale.

Si torna così sempre alla politica: è da questa, sostiene Spirito, che bisogna ripartire. E’ la politica a cui spetta la pianificazione delle politiche di trasporto, dalle quali derivano gli ambiti ottimali di offerta ed i contratti di servizio. Solo con una rigorosa pianificazione, ed un’altrettanto stringente osservazione della stessa, si possono rimettere in carreggiata queste enormi aziende frutto di recenti fusioni. Una carreggiata che sia, ovviamente, preferenziale, e riservata al solo trasporto, ed interesse, pubblico.

 

(Articoli pubblicato per conto dell’agenzia di informazione FerPress, e disponibile al seguente LINK)

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