La scomparsa del biglietto Unico: un danno potenziale di oltre 25 milioni di Euro

La mattina del 1° febbraio 1995, un napoletano qualunque – che chiameremo Pasquale Esposito – esce di casa per andare a lavoro. Pasquale è del Vomero, ma lavora al Centro Direzionale. Il suo itinerario è sempre lo stesso, tutti i giorni. Nel suo piccolo, lo si può considerare un pendolare intra-città.

Per raggiungere il suo ufficio, deve prendere la funicolare di Chiaia, poi la metropolitana Linea 2 fino a Garibaldi, e da lì una sola fermata in Circumvesuviana. Quella mattina del febbraio 1995 sembra uguale a tutte le mattine precedenti. Tuttavia, vi è un particolare, piccolo, che sta nel palmo di una mano, e che cambierà radicalmente il modo di spostarsi del nostro amico – e di tutti noi. Infatti, quel giorno Pasquale può prendere, per la prima volta, i suoi tre abituali mezzi di trasporto, gestiti da tre società diverse, con un solo tagliando: il biglietto, per l’appunto, unico, che sostituisce i tre biglietti (uno per azienda) che era costretto a comprare fino al giorno precedente.

Nel 1995, l’antesignano di quel che oggi è conosciuto come Unico era denominato GiraNapoli, e fu una rivoluzione. L’idea era geniale quanto semplice: mettere “a sistema” le differenti linee partenopee, sia su ferro che su gomma e gestite da differenti società, per renderle più facilmente accessibili da parte dell’utenza. Infatti, fino a quel momento, ciascuna azienda (ANM, Circumvesuviana, Trenitalia, CTP, SEPSA, ecc.) stabiliva le proprie tariffe ed emetteva i propri titoli di viaggio, disponibili fra l’altro solo ed esclusivamente presso gli impianti di trasporto. In tal modo, chi, come il nostro amico Pasquale, si accingeva a un viaggio su più mezzi doveva acquistare diversi biglietti, con un aumento della spesa, ed una perdita di tempo notevole.

A rileggere com’era strutturato il sistema di vendita dei biglietti solo vent’anni fa, sembra assurdo potesse esistere un sistema così disarticolato, che – nei fatti – disincentivava l’utilizzo del mezzo pubblico. Sicuramente, chi ha meno di trent’anni non ha memoria di ciò, e ancora più sicuramente chi è più “anziano” non lo rimpiange. Infatti, la risposta dell’utenza fu travolgente: grazie alla convenienza economica e alla capillare rete di vendita attraverso edicole e tabaccai, GiraNapoli fu un grande successo. In pochi anni il modello del biglietto unico fu prima esteso alla provincia partenopea (nel 2000) e poi alla regione intera (2003), con la creazione del consorzio Unico Campania. Fu inoltre diversificata l’offerta: ieri come oggi sono disponibili comodi abbonamenti annuali, particolarmente convenienti soprattutto per le fasce di popolazione più deboli, come studenti e anziani. Inoltre, per rispondere ad una domanda turistica in rapida ascesa, furono introdotte le formule giornaliere e week-end. Ad oggi, il Consorzio riunisce 9 società di trasporto (AIR, AMTS, ANM-Metronapoli, EAV, CTP, CTI/ATI, CSTP, SITA, TRENITALIA) movimentando ogni giorno su tutto il territorio regionale circa 1,5 milioni di passeggeri attraverso 25.000 corse bus e 2.540 treni (dati tratti dal sito ufficiale del Consorzio).

Il successo della tariffa integrata nasce dall’intuizione dell’ing. Antonietta Sannino, storica direttrice del consorzio Unico Campania, supportata fortemente dalla volontà politica del duo Bassolino-Cascetta che, prima al Comune e poi alla Regione, fra il 1994 ed il 2010 hanno fortemente puntato sullo sviluppo del trasporto pubblico locale (TPL), di cui la bigliettazione rappresenta parte fondamentale. Una visione programmatica molto apprezzata anche a livello comunitario. Infatti, nel 2001 la Commissione Europea ha indicato l’esperimento napoletano come esempio virtuoso di una riuscita integrazione tariffaria, citandolo nel Libro Bianco sulla Politica Europea dei Trasporti (p. 80), il documento cardine di programmazione dell’UE in questo campo. Lodi riprese anche dall’allora Commissario Europeo per la Politica Regionale Danuta Hubner, in occasione della sua visita a Napoli nel 2007 per inaugurare la mostra sui progetti delle stazioni dell’arte della Linea 1, Metrò-polis, tenutasi a Castel dell’Ovo.

L’introduzione del biglietto unico e di una vasta offerta commerciale, unita ai maggiori investimenti su autobus e metro effettuati dalle giunte comunali e regionali di centro-sinistra, in dieci anni (2000-2010) hanno comportato un aumento dei passeggeri sulla rete ferroviaria regionale del 38%. Percentuali che a Napoli hanno toccato l’iperbolica cifra del +78%. In particolare, nel capoluogo la quota intermodale del trasporto ha toccato il 43%: in altri termini, quasi un utente su due utilizza più mezzi di trasporto, mentre la media italiana è del 29%. Ciò è possibile solo grazie all’esistenza della tariffazione integrata.

Ma cosa succederebbe se la tariffazione integrata, e quindi il biglietto Unico, venisse meno?

La domanda nasce da un rischio molto concreto. Infatti, dal 1° maggio 2014, secondo quanto previsto dalla delibera regionale n. 88 del 26 marzo 2013, la tariffa integrata cesserà di esistere, e non è dato tuttora sapere con quale altra modalità di bigliettazione verrà sostituita. Lo spettro del tornare indietro di vent’anni, e di esser costretti a fare un biglietto differente per ogni mezzo di trasporto, è purtroppo molto prossimo.

Uno spettro che si è in parte già materializzato con la delibera regionale n° 611 del 19 ottobre 2012, che stabilisce come le aziende rientranti nel sistema Unico Campania possano erogare propri titoli di viaggio a tariffa ridotta (il 10% in meno) rispetto a quelli erogati dal Consorzio. Secondo la delibera 611 è previsto che i nuovi biglietti aziendali affianchino le tariffe integrate. E’ da notare come neanche sei mesi dopo (con la delibera 88 sopra citata del marzo 2013) sia prevista la scomparsa di Unico. Appare dunque chiaro come la confusione regni sovrana nelle stanze dell’Assessorato ai Trasporti, ed è un’ulteriore prova di come manchi una seria e solida progettazione per il sistema di trasporti campano che si vuole disegnare nel prossimo futuro.

Tuttavia, prendiamo per buona la delibera 611 del 2012. Secondo quanto previsto, chi ha necessità di prendere un solo mezzo, gestito da una sola azienda, potrà comprare il biglietto più economico. Chi invece necessita di fare un viaggio intermodale su più mezzi, gestiti da aziende diverse, potrà continuare a utilizzare la tariffa integrata, ad un costo lievemente maggiore. A prima vista, sembra l’uovo di Colombo. Tutti guadagnano, e nessuno ci perde. Tuttavia, l’introduzione di tariffe aziendali in un sistema da quasi vent’anni concepito come integrato è come immettere un virus in un organismo sano. Infatti, in un drammatico rapporto elaborato dallo stesso Consorzio e distribuito a tutte le aziende di TPL campane, è stato stimato come l’introduzione del biglietto aziendale comporterà una riduzione annua degli incassi per le aziende di trasporto di quasi 26 milioni di Euro rispetto all’attuale situazione. Una cifra che dovrebbe essere poi compensata con stanziamenti regionali, onde evitare il collasso delle aziende di TPL. Soldi che verrebbero direttamente dalle tasche dei cittadini. Insomma, il classico gioco delle tre carte.

E’ lecito però aspettarsi che l’attuale giunta regionale non sia intenzionata a compensare queste perdite. Infatti, dal 2010, anno del passaggio della regione al centro-destra di Stefano Caldoro e la nomina ad Assessore ai Trasporti di Sergio Vetrella, sono stati operati numerosi tagli dei finanziamenti al TPL, che hanno messo in serie difficoltà tutte le aziende di trasporto, e lo stesso Consorzio Unico. Tutte le regioni contribuiscono al TPL con il proprio bilancio, che si va a sommare ai trasferimenti statali. Tuttavia, se nel 2009 la Regione Campania, sotto l’impulso di una lungimirante politica d’incentivo del trasporto pubblico, spendeva 1,6 Euro a pendolare, oggi ne spende solamente 0,2 (venti centesimi), destinando un misero 0,29% del proprio bilancio al trasporto ferroviario pendolare. Questo taglio draconiano ha portato le tariffe ad aumentare del 23,75% nel solo biennio 2011-2013 (dati Legambiente – Rapporto Pendolaria 2013). E’ bene notare che senza un’adeguata sovvenzione regionale, alcun tipo di tariffa (né aziendale, né tantomeno integrata) è economicamente sostenibile con la sola vendita dei tagliandi.

Quindi, l’introduzione del biglietto aziendale affiancato al biglietto Unico comporterà mancati incassi per quasi 26 milioni di Euro. Soldi direttamente sottratti al TPL, che la Regione non ha alcuna intenzione di compensare. Il che comporterebbe un ulteriore crollo della qualità dei servizi erogati, già drammaticamente diminuita dal 2010 in poi.

Pur ben conoscendo tutti questi drammatici dati, già segnalati a chi di dovere da parte del Consorzio Unico Campania, la Regione sembra intenzionata a perseguire la dismissione della tariffa integrata e di una struttura che, da vent’anni, lavora per fornire un servizio di qualità, unanimemente riconosciuto come tale, ai cittadini campani. Infatti, non si deve dimenticare che l’obiettivo principale per il quale il sistema Unico Campania è stato istituito sia incentivare la collettività ad utilizzare i mezzi pubblici. Questa è però incentivata solo se gli utenti possiedono un unico titolo di viaggio per più mezzi di trasporto, poiché così saranno naturalmente portati a sfruttare quanto più possibile il titolo integrato, al fine di ammortizzare la spesa e risparmiare tempo nella ricerca e nell’acquisto dei diversi biglietti da utilizzare sui diversi mezzi. Va da sé quindi come la tariffa integrata costituisca anche un naturale strumento di lotta all’evasione.

Il futuro del biglietto Unico è ad oggi incerto. Non è chiaro perché, con questi numeri di successo e con perdite così pesanti già preannunciate e statisticamente dimostrate, la Regione insista nella sua volontà di demolizione del Consorzio. Quest’ultimo, negli anni, è stato indicato come un inutile carrozzone politico. Tuttavia, risulta difficile credere come una struttura con soli 8 dipendenti, e che permette ogni giorno a 1 milione e mezzo di campani di spostarsi agevolmente, possa essere considerato un ente inutile. Lo stesso biglietto Unico è stato considerato eccessivamente caro rispetto ai servizi erogati dalle aziende di TPL; ma giova ricordare come a Napoli il biglietto sia più economico di tutte le maggiori città italiane (costo: 1,30 Euro), e consenta di spostarsi su tutti i mezzi illimitatamente per 90 minuti. Per comparazione, sia a Roma che a Milano i biglietti sono più cari (costo: 1,50 Euro), ed hanno una validità temporale inferiore (in media 75 minuti).

Lo scontro politico tra la direttrice del Consorzio, l’ing. Antonietta Sannino, e l’attuale Assessorato ai Trasporti, ha toccato l’apice lo scorso 1° febbraio, con le dimissioni della stessa Sannino, in polemica con l’attuale programmazione del TPL campano. Un gesto estremo per cercare di mettere a riparo una creatura faticosamente costruita, e che, se messa in condizione di lavorare a pieno regime, è in grado, come si è visto, di fornire risultati impressionanti. Tuttavia, dal 2010 il cammino della tariffa integrata, e del TPL campano tutto, è diventato assai tortuoso, dopo anni di livelli qualitativi eccellenti, ed il futuro prossimo non appare roseo. Anzi, rassomiglia drammaticamente ad un salto indietro di vent’anni, in un passato fatto di disservizi, evasione alle stelle, biglietti falsificati. Una giungla normativa dove ognuno curava (male) la propria azienda-orticello, nel disinteresse della qualità dei servizi da erogare ai cittadini. Un quadro che purtroppo sembra molto, molto attuale.

Di seguito, le principali tappe di realizzazione del sistema tariffario integrato (STI) a Napoli e in Campania

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La creazione del STI, di concerto con maggiori investimenti in materiale rotabile ed infrastrutture, ha portato in dieci anni ad un incremento notevole di passeggeri del TPL

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Tuttavia, il taglio dei finanziamenti al TPL ha portato, in neanche quattro anni, ad un crollo della qualità del servizio offerto. I casi più eclatanti sono Circumvesuviana e le linee SEPSA (Cumana e Circumflegrea)

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Se si paragona quanto spendono le diverse regioni d’Italia per il TPL, emerge un quadro impietoso per la Campania, dove in media si spendono solo venti centesimi a pendolare

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Il colpo di grazia sarà poi l’affiancamento di tariffe aziendali e tariffe integrate, con una diminuzione degli incassi rispetto al 2012 pari al 18,5%, ossia quasi 26 milioni di Euro in meno. Di seguito, le perdite stimate per ogni azienda del TPL campano. I dati sono tratti dallo “Studio sulla riduzione di introiti derivante dall’introduzione della tariffa aziendale nel sistema integrato Unico Campania”, un rapporto elaborato dallo stesso Consorzio e distribuito a tutte le aziende di TPL in Campania.

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(Articolo pubblicato per conto della testata giornalistica QdN – Qualcosa di Napoli e disponibile al seguente LINK)

 

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