Treni veloci, ma senz’anima

Chi li progetta questi treni definiti all’avanguardia, che sfrecciano (quasi sempre in ritardo) sulle linee italiane?

Vagoni pensati da chi – evidentemente – il treno lo prende, ma non lo vive, se non in classi d’élite, economicamente insostenibili ai più. Risultati di fredde linee tracciate su un foglio di calcolo, che poi tradotte nella realtà tradiscono un’idea stereotipata di modernità che non lascia spazio per nulla.

Non c’è spazio per le valigie ingombranti di chi prende i treni per viaggi lunghi (che siano i tanti emigranti interni italiani o turisti), pensando che tutti siano manager che si muovono con la 24 ore.

Non c’è spazio per i lavoratori del bar, che spesso sono in là con l’età: una forza lavoro umiliata dal dover ancora faticarsi da vivere e mortificata ulteriormente in spazi minuscoli, assediati di persone che hanno fame, ma hanno sempre meno tempo per fermarsi a mangiare qualcosa di decente.

Nella foto, una suora immortalata mentre raccolta in preghiera in un ETR 400, noto anche come Frecciarossa 1000.

Non c’è spazio nei corridoi, nelle intercapedini fra i vagoni, che sia per una telefonata o una valigia più ingombrante, o nei bagni pensati da chi evidentemente in bagno non va mai, o nelle cappelliere che, appena si toccano i 300 km/h, tremano come se vi fosse il terremoto, facendo perfino cadere oggetti sulle teste di persone sempre più stanche e sempre più di fretta.

Saranno anche modernissimi, rossi fiammanti, ma sono senz’anima, nei tavolini pensati non si sa perché per lillipuziani, nelle plastiche dei sedili sempre più fragili, logore già dopo poco, e che sembrano uscite da una fabbrica della Cina degli anni ‘80.

Infine, tristi sono le pubblicità aziendali su vacue riviste senza contenuti, messe in bella vista sui sedili dagli inservienti che preparano il treno, e prontamente scartate sulle cappelliere dai passeggeri: caduco monumento fuori tempo, rigorosamente cartaceo nell’epoca dell’ambientalismo, prodotto di superfetazioni aziendali inutili, ché ancora ci si domanda perché chi dovrebbe fare trasporto sia chiamato a gestire una redazione che manco L’Espresso.

Meno marketing standardizzato e senz’anima, più treni pensati da chi il trasporto ferroviario l’ha immaginato e non solo gestito, in un’Italia che nei treni che partono strapieni dal Sud ha un carico di dolore e di vita che va rispettato, lasciando da parte le valigette dei manager, o perlomeno non facendone uno standard di vita e di riferimento.

 

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