Concludere l’epoca della street art imposta

Napoli è notoriamente la città degli eccessi e dei contrasti. Troppo mare, troppo sole, troppo buon cibo, troppa bellezza, forse perfino troppa festa scudetto (così dicono), ma anche troppa povertà, troppa violenza, troppa disorganizzazione. Ultimamente, anche troppi murales. Ne ho parlato giovedì 15 giugno 2023 sulle pagine del Corriere del Mezzogiorno.

Da eccezione a regola

Se è l’eccezione che conferma la regola, e quindi un’opera d’arte è tale perché unica, Napoli sta invece sperimentando da anni una sorta di riproducibilità in serie degli stessi stilemi. E’ partito tutto, per l’appunto, come un’eccezione. Il volto di San Gennaro che adorna una vuota facciata a via Duomo. Un Maradona simbolo di riscatto nella difficile periferia est. Il sorriso triste di Massimo Troisi nella stazione EAV di San Giorgio a Cremano, e altri. Sull’onda di un affermato fenomeno internazionale, la street art è anche qui diventata rapidamente vettore di riqualificazione, o meglio pubblicizzazione, di alcune zone lasciate ai margini dell’attenzione politica.

L’attuale murales presente al Centro Direzionale sul fianco della torre che ospita il Consiglio Regionale della Campania

Poi, nella città degli eccessi si è come sempre esagerato, scambiando il mezzo per il fine. Inaugurazioni in pompa magna, patrocini istituzionali. La scorsa sindacatura è stata il trionfo dei segni urbani indelebili quanto imposti e sui quali nessuno, a partire dalla cittadinanza, è stato mai consultato. Si pensi alla facciata dell’ex ospedale psichiatrico ai Materdei, o quella della ex mensa dell’Università Federico II. Fino ad arrivare al murales più alto del mondo (100 metri) sulla facciata di un grattacielo del Centro Direzionale in occasione delle Universiadi. Un tratto fortissimo, che come un pugno degno di uno dei volti riprodotti (Patrizio Oliva, ex pugile campione Olimpico) finisce dritto nell’occhio di un luogo che, piaccia o meno, ha una sua dignità architettonica.

Il nuovo murales del Centro Direzionale

Un copione che a breve si ripeterà, con un ancor più alto (122 metri) e largo murales su una delle “torri gemelle” ex ENEL. Iniziativa di un privato a cui inspiegabilmente sarà permesso di alterare in modo permanente la visione di Kenzo Tange, esponente di prim’ordine dell’architettura mondiale che ha realizzato l’unico vero luogo di modernità in una città troppo spesso portata a guardarsi indietro. Non a caso, l’opera celebrerà Maradona, Pino Daniele, Massimo Troisi: nomi giustamente già omaggiati in ogni dove, ma che cristallizzano forzatamente l’idea di una Napoli che invece cambia, evolve. A proposito di nomi: in quel quartiere tentativo di progresso i palazzi portano la firma di Renzo Piano, Massimo Pica Ciamarra, Nicola Pagliara e Giulio De Luca (suo il progetto dell’elegante Arena Flegrea). Non proprio dei passanti insomma, il cui disegno andrebbe rispettato.

Come sarà il nuovo murales previsto sulla spallata di una delle due torri ENEL al Centro Direzionale

Motivo per il quale sgomenta il silenzio della Sovrintendenza sul tema. In una città dove servono le barricate per avere l’asfalto al posto dei sampietrini, o dove ristrutturare un palazzo è impresa burocratica difficilissima, non si proferisce parola su un murales che sarà ancor più visibile di quello realizzato per le Universiadi, marcando per sempre non solo un grattacielo, ma l’intero panorama cittadino.

Non basta la street art per fare riqualificazione urbana

L’operazione delle ex torri ENEL viene già furbescamente salutata come l’inizio della “riqualificazione” del Centro Direzionale. E’ bene chiarirsi: una street art non fa primavera. Non basta nelle stazioni della rete regionale, diventate coloratissime dove tuttavia è impossibile fare un biglietto e sapere quando passa il prossimo treno. Non basta nelle periferie abbandonate, o in un quartiere che potrebbe diventare vuoto doppione del futuro Porta Est, trionfo controtempo di cubature per uffici nell’era dello smart working e dove è prevista la nuova sede della Regione Campania.

Trent’anni di cantieri della metropolitana dell’arte avrebbero dovuto insegnarlo a tutti, decisori pubblici in primis: riqualificazione è avere una visione olistica che abbracci architettura, urbanistica e arte, il tutto possibilmente misurabile. Un’interessante studio di Armando Cartenì dell’Università Vanvitelli ha infatti quantificato la ricaduta positiva, anche in termini di maggiori passeggeri trasportati, che la Linea 1 ha garantito negli anni grazie ai suoi elevati standard di bellezza e qualità architettonica. Analisi confermate dalla Commissione Europea, la quale ha però sottolineato che non bastano le opere d’arte se il servizio è scadente. Quindi, di nuovo: un murales non fa riqualificazione. E il troppo stroppia, perché ogni fenomeno (street art inclusa) ha una sua stagione. Si tuteli dunque la dignità architettonica del Centro Direzionale, e la città tutta, da questo ennesimo segno urbano imposto dall’alto, e da nessuno richiesto.

 

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